27011 - XII

N. Lygeros
Traduzione: Lucia Santini

La campana suonò dodici volte.
Si sentì in tutta la città.
Questo era l’obbiettivo del tempio.
Non era soltanto il più alto della città,
ma anche il più grande dell’Ungheria.
La vista dal suo balcone scolpito
abbracciava tutte le case.
Il suono gli ricordò il suo amico,
il musicista e le notti che
suonava e invece parlava.
Le lancette dell’orologio
erano come le sue dita
quando sfiorava la sua lira.
Indicavano tutte e due il cielo.
Non c’era nient’altro al di sopra
come se fosse terminata la missione,
ma sapeva che questo indizio
aveva lo stigma della continuità.
Ritornò dentro la cupola di legno
con le scale sospese
che assomigliavano a quelle
di una strana biblioteca
ove gli uomini parlavano esperanto.
Eppure era qui a Budapest.
Riguardò il dodici come secolo
e gli venne in mente il riferimento
al primo testo scritto.
Halotti beszéd és könyörgés.
La morte e la preghiera.
La porta rimase aperta.
Pensò al lutto.
Era molto prima della barbarie.
Si vedeva il sole in mezzo alle nuvole
quando arrivò al piano terra dopo gli scalini.
In questo percorso aveva nella sua mente
il castello Peterwardein.
Non sarebbe dovuto soccombere nel 1526.
Il ritardo del 1522 a Rodi
non fu sufficiente per salvarlo.
E la difesa dell’Ungheria non era pronta.
Per quanto lo volessero i baroni,
l’artiglieria ottomana falciò
ogni tentativo di attacco
e spezzò il fiore selvatico
e Buda cedette a Settembre.
Questo non si doveva ripetere.
Lo promise al suo amico.